RASHOMON Un monaco (Chiaki), un boscaiolo (Shimura) e un passante (Ueda) discutono del caso di un bandito (Mifune) accusato di avere ucciso un samurai (Mori) e di averne stuprato la moglie (Kyo). Ognuno dei partecipanti (i morti vengono evocati da una maga) racconta una versione diversa dei fatti, accollandosi la responsabilità del delitto, ma scaricandone la colpa sugli altri due. Il boscaiolo riferisce una quarta versione, che non va a onore di nessuno dei tre. Congegnato con grande abilità e un superiore senso di ironia, e girato con uno stile nervoso e molto moderno. Il film che ha reso noti Kurosawa, Mifune e la Kyo in Occidente, Leone dOro a Venezia e Oscar per il miglior film straniero. Accusato di essere troppo europeizzante dagli occidentali (ma i racconti di Akutagawa da cui è tratto sono degli anni Dieci), e poco amato in patria: i produttori non volevano mandarlo a Venezia perchè pensavano fosse poco esportabile. |
I
SETTE SAMURAI Nel Giappone del Cinquecento, sconvolto dalle guerre civili, alcuni contadini assoldano sette samurai per difendersi dai briganti. Vincendo le barriere di classe, i mercenari solidarizzeranno con gli agricoltori e si sacrificheranno per loro: alla fine il saggio capo (Shimura) dei samurai sentenzia: "Ancora una volta abbiamo perso... i veri vincitori sono loro". Uno dei capolavori di Kurosawa (autore anche della sceneggiatura con Shinobu Hashimoto e Hideo Oguni), un film davventura dal respiro epico che cela unelegia della terra e della solidarietà, comè nello spirito umanitario del regista. Al centro cè il confronto-scontro tra due culture, quella della campagna e quella delle armi, e se la prima è descritta nella sua globalità, attraverso il ritratto collettivo dei contadini, la seconda è più approfondita e i sette differenti caratteri dei samurai incarnano aspetti diversi della morale e del comportamento giapponese: Kambei (Shimura) è la saggezza e il disincanto (capace di sottolineare il carattere autodistruttivo dellimpresa), Heihachi e Gorobei (Chiaki e Inaba) sono lastuzia, la giovialità, il buon senso, Kyuzo (Miyaguchi) è la concentrazione ascetica, Katsushiro (Kimura) rappresenta lentusiasmo della gioventù, la generosità e lidealismo, Shichiroj (Kato) è la professionalità che vuole restare nellombra, Kikuchiyo (Mifune) è il personaggio che lega le due culture con le sue origini contadine e la sua scelta di diventare samurai per volontà, timido dietro le sue audacie, sbruffone ma sostanzialmente insoddisfatto. Raccontato con il fascino e la grandezza delle cose semplici e profonde, il film è soprattutto un incitamento contro la rassegnazione e lo scoramento, visti come i due grandi nemici delluomo. Questa è la versione doppiata, ridotta a soli 140, rispetto alla versione originale di 200 minuti. Rifatto a Hollywood come I magnifici sette (1960). |
VITA
DI O-HARU, DONNA GALANTE Nel XVII secolo, unanziana prostituta (Tanaka) rievoca la sua vita infelice iniziata quando, giovane nobile, si concede a un uomo di estrazione inferiore (Mifune) e viene considerata alla stregua di una prostituta. Costretta a dare un discendente a un signore la cui moglie è sterile, non può mai vedere suo figlio ed è obbligata a subire le voglie degli uomini (che la ricattano per il suo passato) e le invidie delle donne: sarà umiliata per tutta la vita e dopo aver finalmente visto il proprio figlio, finirà i suoi giorni dedicandosi alla religione. Presentato al festival di Venezia nel 1952 (dove ricevette il premio internazionale), questo film rivelò al mondo occidentale il valore del cinema giapponese e la statura di Mizoguchi. Tratto da un romanzo di Sakaku Ihara (e sceneggiato da Yoshikata Yoda), racconta la vita di una "donna galante", condannata a essere vittima dellegoismo sociale e destinata a sperimentare sulla propria pelle lesperienza estrema della tragedia. Condannata dalla fatalità (i suoi momenti di cedimento sono sempre scoperti) ma anche da unorganizzazione che si basa sulla soggezione della donna, la vita di O-Haru è un susseguirsi di schiavitù imposte dallaltro sesso, visto sotto i diversi aspetti del padre, del signore, del padrone, dellamante, del marito, del figlio o del semplice cliente della casa da tè. Costretta a rimandare sempre il sogno di una vita finalmente realizzata (accanto a un uomo prima, e vicino al figlio poi), O-Haru diventa una specie di sintesi delleroina mizoguchiana, calpestata ma non spenta, che il regista mostra quasi invariata nei diversi stati della sua vita, come a sottolineare limmutabilità di una situazione e la "condanna di un destino dove ogni momento riflette la totalità delle sue disgrazie". Questa interscambiabilità è accentuata ancora di più dallo stile contemplativo di Mizoguchi, implacabile nella sua crudele lucidità, e da una messinscena dominata dai piani sequenza, dove per contrasto le carrellate che accompagnano lunico momento in cui O-Haru può vedere suo figlio "raggiungono unintensità emotiva lancinante". |
L'INTENDENTE
SANSHO Nel Giappone dellXI secolo, Zushio (Hanayagi), figlio di un governatore caduto in disgrazia per le sue idee umanitarie, cresce separato dalla madre (Tanaka) sopportando condizioni durissime insieme alla sorella Anju (Kagawa) con cui è ridotto in condizione di semischiavitù dal crudele intendente Sansho (Shindo). Diventato adulto saprà riabilitare il padre, riconquistare il suo ruolo nobiliare ed esiliare Sansho - abolendo la schiavitù - prima di lasciare ogni potere per andare alla ricerca della madre. Tratto da una leggenda medioevale rielaborata dal romanziere Ogai Mori (sceneggiata da Yoshikata Yoda e Yahiro Fuji Miyagawa), è uno dei capolavori dellultimo Mizoguchi. Insolitamente più maschile che femminile rispetto ai film precedenti, segue un percorso duplice: da una parte si presenta come un "film di formazione" in cui il giovane protagonista apprende la necessità di una propria rivolta morale, dallaltra è unintensa meditazione sulloppressione sociale e politica esercitata dalla Storia e dal Potere. Energico e brusco nella prima parte (che contiene dei flashback, rarissimi per lautore), più disteso ed elegiaco nella seconda, culmina in una scena finale - il ritrovamento della madre sulla spiaggia - che è uno dei momenti più emozionanti di tutto il cinema di Mizoguchi. |
L'ARPA
BIRMANA In Birmania, alla fine della seconda guerra mondiale, un ufficiale giapponese fedele al proprio codice donore militare preferisce sterminare il proprio reparto, pur di non arrendersi ai vincitori: il fatto è raccontato dallunico sopravvissuto, un soldato (Yasui) che ha deciso di farsi bonzo per dedicarsi al culto dei morti e vaga nella giungla birmana in compagnia di un pappagallo e unarpa. Leone mancato a Venezia per lopposizione del giurato Visconti, il film conquistò le platee di tutto il mondo con il suo semplice ma efficace messaggio antimilitarista. Affascinante luso della musica che contrasta con il mutismo del bonzo e mitiga, insieme alla presenza lirica della natura, il senso ossessivo della morte caratteristico del regista. Nel 1985, Ichikawa ha rifatto lo stesso film con altri interpreti, ma questa edizione non è mai stata distribuita in Italia. |
CRONACHE
ENTOMOLOGICHE DEL GIAPPONE Storia di Tome, ragazza di campagna e poi, in città, prostituta e mezzana alla ricerca caparbia del benessere. Nessuna difficoltà o sconfitta riuscirà a piegarla. |
IL
PROFONDO DESIDERIO DEGLI DEI In unisola dei mari del Sud, un ingegnere proveniente da Tokyo si misura con una cultura arcaica, di cui non sospettava neppure lesistenza, e che lo segnerà per sempre. |
SONATINE Murakawa (Kitano), yakuza stanco del suo mestiere, viene inviato dal suo capo nellisola di Okinawa, per aiutare una gang alleata contro dei rivali. Sulla spiaggia Murakawa gioca alla roulette russa con i suoi nuovi amici, simpatizza con una ragazza (Kokumai) vittima di uno stupro, finchè capisce di essere stato tradito, e va incontro alla morte come leroe di un film di Jean-Pierre Melville. Il capolavoro di Kitano (anche sceneggiatore): un noir che parte allinsegna dellumorismo nero e del sarcasmo (la scena della tortura subacquea mostra come la regia si tenga in equilibrio tra cinismo e orrore, senza scadere, alla fine, nello sberleffo alla Tarantino), si trasforma in un beach-movie metafisico che manda allaria ogni suspense banale da film di genere, e finisce allinsegna di unepica nichilista. Kitano è uno dei pochi registi contemporanei che si chiede ancora dove collocare la macchina da presa e come montare le immagini, senza accettare nessun tipo di convenzioni. Il sangue scorre come in un film di Peckinpah, ma la sintassi astratta delle scene dazione potrebbe essere stata immaginata da un Ozu o, meglio, da un Bresson. Il bello è che questo modo di narrare imprevedibile e folgorante non si esaurisce nel formalismo, ma sottende una visione amara della vita come ilare avvicinamento alla morte. Per quanto vincitore del festival di Taormina, questo film - tra i più belli negli ultimi anni - si è visto solo nottetempo in televisione. |
HANA-BI
- FIORI DI FUOCO Dopo una sanguinosa caccia alluomo il poliziotto Horibe (Osugi), paralizzato, trova pace nella pittura, mentre il taciturno collega Nishi (Kitano) contrae un debito con gli yakuza per aiutare lamico, rapina una banca perchè non li può rimborsare e inizia una fuga verso il nulla con la moglie Miyuki (Kishimoto), malata terminale. La violenza come stupore di fronte allincomprensibilità della vita, la morte come tenerezza impossibile: al di là di tutti i generi, Kitano gira con uno stile folgorante e contemplativo fatto di accelerazioni e accostamenti imprevedibili, ma ha anche il talento di suscitare emozioni vere, rare nel cinema contemporaneo. Esplicito, questa volta, il rapporto con la cultura tradizionale giapponese, che con i suoi luoghi sacri ridotti ad attrazioni turistiche fornisce un controcanto ironico e patetico allultimo viaggio di Nishi. Meritato Leone dOro a Venezia. I due ideogrammi del titolo originale significano separatamente "fiore" e "fuoco", e insieme "fuoco dartificio". |